In questo periodo dell’anno si parla, come è logico, di vendemmia. Vendemmia che a seconda delle voci può essere: “del decennio” (markettari al primo stadio), “del secolo” (markettari al secondo stadio, possibilità di recupero scarse, Cotarella), “del millennio” (spara baggianate a pagamento), “maledetta” (vignaioli pessimisti flagellati dal maltempo), “intensa ed appagante” (vignaioli zen che hanno trovato la propria via), … Insomma, ci siamo capiti, la vendemmia è un momento speciale ed estremamente intimo, che ognuno vive scoprendo ed esprimendo la propria sensibilià

 

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Per questo motivo e grazie all’appoggio del sempre competente e disponibile Jean François Coquard, enologo borgognone della Tenuta Mazzolino in Oltrepò pavese, oggi voglio ripercorrere brevemente attraverso alcuni scatti fotografici il viaggio ideale di un grappolo dalla vigna alla bottiglia, seguitemi

 

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È settembre, fa caldo, non più il caldo afoso di agosto, ma quel caldo velato di freschezza che fa pensare alle grigliate fra amici col golfino sulle spalle. La luce è più gialla, meno squillante e più materna del mese dell’esodo vacanziero, ed i grappoli turgidi e maturi pendono dalle vigne, fiere genitrici di cotanti pargoli. Gli uomini passano giorno dopo giorno, li tastano, li assaggiano, li schiacciano, li mandano in analisi (l’enologo come psicologo dell’uva, questa non mi era ancora venuta in mente). Poi ad un certo punto decidono: sono diventati grandi abbastanza, è giunto il momento di separarli dalla pianta che in Italia ormai siamo stufi dei mammoni anche nel vino

 

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Allora si chiamano i lavoratori delle vigne, gente dalla pelle abbronzata, dalle mani esperte, forti, ma delicate per non arrecare troppo danno alle fragili bacche. E parte il concerto del tic tic tic e stac stac stac (come mi sento futurista) e dei grappoli che cadono nelle cassette e delle cassette caricate sui rimorchi e delle parole lanciate fra i filari e delle risate che ne tornano indietro. Il sole intanto osserva benevolo ed ogni tanto si permette qualche scherzo di dubbio gusto inviando nuvole temporalesche ad interrompere il lavoro in campagna. Ma ci sta, come ci hanno insegnato gli antichi Giove pluvio è un discreto mattacchione con una particolare predilezione per gli scherzi e gli accoppiamenti interspecifici

 

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I grappoli quindi compiono il loro primo viaggio lontano da casa fino alla cantina dove, come succede nei college più rinomati, vengono selezionati solo quelli più adatti ad intraprendere il passaggio successivo. Se il lavoro in vigna è stato svolto correttamente e l’andamento meteorologico non è stato troppo avverso i rimandati saranno pochi. Quindi dopo la fase di cernita si separa la frutta vera e propria (gli acini) dal raspo che in vinificazione, a parte scelte particolari di cantina (Borgogna docet), potrebbe creare problemi di tannini eccessivamente verdi. A questo punto le strade si biforcano perché per i vini bianchi, generalmente, si effettuerà subito la pressatura dei chicchi per ottenerne il mosto, mentre per i rossi vi sarà prima un periodo di macerazione. Inciso obbligato: queste regole non sono vere in assoluto in quanto la produzione del vino è un processo ad alto tasso di personalizzazione ed ogni cantina segue la propria filosofia produttiva. Ciò non di meno queste sono le pratiche più generalmente seguite

 

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Il racconto ora si fa più specifico e segue il percorso del vino in fieri nella cantina di Mazzolino. In particolare il Pinot nero, indiscusso principe dell’Oltrepò vinicolo, proveniente dalle migliori parcelle della tenuta di Corvino San Quirico verrà indirizzato a comporre il Noir, punta di diamante della cantina. A seguito dell’égrappage i chicchi vengono quindi convogliati all’interno di vinificatori in acciaio inox (le cuves) e portati ad una temperatura prossima ai 10° grazie all’azione del ghiaccio secco (anidride carbonica allo stato solido). Ciò permette di estrarre dalla buccia, la parte più ricca di polifenoli, il massimo di antociani (coloranti) e di componenti aromatiche primarie che rimandano alla frutta fresca. A questo stadio si ha un mosto d’uva ad alto tenore zuccherino, in pratica un succo d’uva

 

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Dopo alcuni giorni di stazionamento la temperatura viene fatta gradualmente salire fino a giungere al punto di risveglio dei lieviti (intorno ai 15°/17°) e quindi alla partenza della fermentazione alcolica che è poi il passaggio fondamentale che trasforma il mosto in vino. Nel corso della fermentazione gli zuccheri vengono convertiti in alcoli, principalmente etanolo (per i più interessati alla materia consiglio un ripasso di chimica organica) impoverendo quindi di dolcezza il mosto,  ma donando al vino gradazione alcolica. In alcuni casi, come è per il Blanc di tenuta Mazzolino, la fermentazione alcolica avviene direttamente all’interno di contenitori in legno di rovere della capienza di 225 litri denominati barrique dove il vino (ora è proprio vino) riposa per un periodo più o meno lungo (qualcuno ha parlato di bâtonnage per caso?)

 

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Quando l’enologo ritiene che il vino sia pronto si procede all’imbottigliamento ed alla, non forzatamente concomitante, etichettatura (lo so, non ho fatto una foto al Noir e non volendo usare quelle già pubblicare nel vecchio post vi ciucciate quella del Blanc)

 

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E metà del lavoro è fatto perché, come chi si occupa di vino sa bene, l’altra metà del lavoro che inizia solo ora è vendere il vino, ma questa è un’altra storia…

Il Fede

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Articolo scritto e redatto da Federico Malgarini | Tutti i diritti sono riservati