Umami è l’espressione di un concetto, è l’identificazione di un preciso sapore, è, fondamentalmente, l’essenza della cucina giapponese; è una parola che, se proprio volessimo, spinti dalla consueta e becera italica ossessione per la traslazione dei termini stranieri, potremmo tradurre con “sapido”, è IL gusto che si ritrova in quasi tutte le preparazioni del Sol Levante.

L’essere umano percepisce alcuni gusti fondamentali, storicamente quattro, grazie ai recettori presenti sulla lingua e più in generale in tutta la bocca: dolce, amaro, acido, salato. Umami è il “quinto gusto”, scoperto in Giappone ai primi del ‘900 ma presente da sempre in tutte le cucine del mondo (si, anche in quella italiana).

Provate a immaginare il sapore di un brodo caldo: quello è umami, e lo ritroviamo, per esempio, proprio come esaltatore di sapidità nei dadi, con il suo nome “ufficiale”, glutammato monosodico. Il glutammato è presente nella pizza, nel Parmigiano Reggiano, nel pesce, nei formaggi, insomma è un qualcosa di familiare anche per noi occidentali.

In Giappone, come dicevo, è il sapore che ritroviamo in tantissimi piatti e in particolare nel dashi, un brodo chiaro e leggero ottenuto dalla bollitura, prima a 60° e poi fino a 85°, di alga konbu essiccata e di riccioli di tonnetto striato affumicato, che prende il nome di katsuobushi.

Il dashi è l’ingrediente fondamentale di zuppa di miso, noodles in brodo, ramen, sukiyaki e quant’altro, e The Old Now l’ha assaggiato per voi, dopo aver assistito alla sua preparazione da parte dello Chef Oshima Akira.

Si, perchè nella cornice di InKitchen LOFT, a Milano, si è tenuta una serata in anteprima dedicata all’arte culinaria nipponica, che si svelerà in tutte le sue forme durante Expo2015, dove nel padiglione dedicato al Giappone ci sarà un’area di 470 mq in cui sette ristoranti solleticheranno le vostre papille gustative, accompagnandovi in un viaggio sensoriale alla scoperta di una cucina troppo spesso identificata con il solo sushi.

Sushi che era comunque presente, sapientemente preparato live da Chef Shimizu del ristorante Kyotaru, maki che sembravano un arcobaleno, forme e colori sempre in armonia che preparano l’anima al godimento; i rice burger di Mos, con due morbide cialde di riso al posto del pane e un ripieno di gamberi e verdure in tempura, cucinati ed assemblati dagli Chef Inabe e Wagu, erano come un vero burger deve essere, cioè “juicy”, veramente una scoperta da leccarsi i baffi (e le dita); il sukiyaki di Chef Yamagishi del ristorante Imahan ci ha poi portato in una dimensione più familiare, proponendo questa preparazione a base di noodles, verdure, carne e dashi considerata in Giappone un piatto conviviale da condividere con amici e parenti.

A concludere il tutto, la superba tempura di Chef Oshima Akira, che ai tradizionali gamberoni e zucchine ha accostato foglie  di basilico giapponese, seppia, funghi shitake, melanzane, cipolle e altre golosità.

Insomma, in questa città dove il sushi è una religione e dove ognuno di noi ha in agenda almeno tre indirizzi per gustarlo (un all you can eat, un ristorante “nella media” e uno pettinato), abbiamo un’imperdibile occasione da cogliere per espandere la nostra conoscenza, il nostro gusto; in fondo, a ben guardare, la nostra cultura.

 

Rice Burger - Ristorante Mos - Chef Wagu

Rice Burger - Ristorante Mos

Sukyaki - Ristorante Iamhan - Chef Yamagishi

Sukyaki - Ristorante Iamhan

Sushi - Ristorante Kyodaru - Chef Shimizu

Sushi - Ristorante Kyodaru

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Articolo scritto e redatto da Lorenzo Volpi | Tutti i diritti sono riservati