Ho letto della sua inaugurazione avvenuta veramente poche settimane fa, a ridosso con l’apertura dei cancelli di Expo e di quella serie di cambiamenti che hanno reso Milano davvero una città internazionale pronta per un futuro che è già qui e ho deciso di fare un salto, come si dice in città. Prada è senza dubbio un brand che non necessita di presentazioni, in nessun senso e nessun contesto. Questo spazio però è qualcosa che va oltre ciò che nel nostro immaginario siamo abituati ad associare al nome Prada. Sono andati oltre, molto oltre. La moda fa capolino ma non attraverso borse e scarpe firmate ma attraverso la tanto attesa proiezione milanese che alcuni di noi, me compresa, attendevano ormai senza grandi speranze.

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La fondazione Prada si interroga da vent’anni su quali siano gli intenti e le rilevanti dell’impiego culturale oggi con una serie di progetti in continua evoluzione.

Così recita la brochure che viene consegnata insieme al biglietto da € 10 che permette di circumnavigare, visitare e godere di questo spazio che sorge a poche centinaia di metri dalla metropolitana gialla di Lodi. Si prosegue con degli interrogativi, primo fra tutti: “A che cosa serve un’istituzione culturale?” E questa sembra proprio la domanda fondamentale da cui si è partiti per costruire quello che oggi prende il nome di fondazione Prada e campeggia fiero di sé in largo Isarco 2, a Milano.

L’interesse che si evince sono le idee ed i modi in cui l’umanità le ha trasformate in discipline specifiche: letteratura, cinema, musica, filosofia, arte e scienza. Il nuovo spazio ha l’obiettivo di espandere la portata dei saperi e, dalla sua inaugurazione, e sembra lo stia facendo a pieno titolo. Ogni campo ha una sua autonomia ma lo scopo complessivo è uno solo: ovvero la coesistenza delle discipline che va a generare risonanze ed intersezioni culturali imprevedibili.

Facciamo un passo indietro: costruita nel 1910 per ospitare una distilleria, il complesso è stato oggetto di una riconfigurazione architettonica che combina tre nuove strutture agli edifici preesistenti. Ne è nato, nel frattempo, un campus di spazi postindustriali e nuovi, con un’alternanza di apertura e intimità, mentre i cortili offrono alla cittadinanza lo spazio pubblico comune. Se passate di qui non potete non regalarvi almeno un quarto d’ora di silenzio, di chiacchiere, di lettura o semplicemente di riposo in una di queste aree comuni create appositamente per l’uomo e perché lui ne vivesse.

 

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La struttura è costituita da diversi componenti: la parte nord, la biblioteca, il podium, il bar luce, l’haunted house, la parte sud, il cinema, la cisterna, il deposito e la torre. Il progetto della fondazione Prada non è un’opera di conservazione e nemmeno l’ideazione di una nuova architettura. Queste due dimensioni, in genere distinte, esistono al contempo qui e si confrontano reciprocamente in un processo di continua interazione come se fossero frammenti destinati a non formare mai un immagine unica è definita in cui un elemento prevale sugli altri. Vecchio e nuovo, orizzontale e verticale, ampio e stretto, bianco e nero, aperto e chiuso: questi contrasti stabiliscono la varietà di opposizione che descrive la natura della nuova Fondazione.

All’interno di ogni componente della struttura, si articolano mostre ed installazioni differenti che vale la pena ammirare e nelle quali vi perderete fra gusti, emozioni e pensieri diffusi. A chiusura (o ad apertura lascio decidere a voi) il bar Luce progettato da regista Wes Anderson vi accoglierà con la sua atmosfera di un tipico caffè della vecchia Milano. Perfetto per colazioni, merende, soste sporadiche e semplici momenti di incantevole riposo, questo bar luce vi abbraccerà con il suo soffitto a voltine e la parte superiore delle pareti che riproducono motivi architettonici decorativi propri della galleria Vittorio Emanuele, uno dei luoghi simboli meneghini. La cultura popolare e l’estetica dell’Italia degli anni ’50 e ’60 non mancano di certo e fanno la loro comparsa sugli arredi, le sedute, i mobili di fornica, il pavimento e o pannelli di legno che rivestono le pareti. Il bar era stato pensato per divenire un punto di incontro aperto al pubblico e fulcro della vita di quartiere: obiettivo centrato al 100%.

 

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Fondazione Prada mi ha lasciato un senso di pace e di appagamento. Pochi luoghi a Milano riescono a trasmettermi la medesima sensazione. Sembra di essere in un luogo nuovo, in una Milano sconosciuta che apre il suo cuore e le sue viscere mostrando la parte migliore di sé ovvero l’attenzione per l’arte e la cultura. Tra queste pareti si respira un equilibrato mix di potenziale e di potenza dati rispettivamente dall’approccio verso il futuro e dalle icone del passato che si mostrano agli spettatori come capisaldi della nostra storia. Ho visto un mescolio di persone e personaggi da togliere il fiato: famiglie con bambini di monopattino muniti, artisti, hypster e anziani a coppie con la voglia di tenersi ancora per mano. Ho visto la luce negli occhi dei giovani che in un silenzio religioso si aggiravano per gli hangar intontiti da tale bellezza. Ho visto amici, amori e amanti perdersi e ritrovarsi fra la storia e il futuro, fra la curiosità e il dubbio, fra l’arte e la cultura.

Fiera di questo nuovo luogo, non aveva ancora varcato la soglia per tornare a casa che mi ero già promessa di ritornarci e questo è il consiglio che lascia tutti voi, almeno una volta nella vita.

 

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