Fashion. Moda e stile negli scatti del National Geographic è l’ultima mostra fotografica ospitata a Torino  negli spazi della  suggestiva Corte medioevale  di Palazzo Madama, complesso architettonico così chiamato,  perché  fu abitato da Madama Cristina di Borbone, soprannominata la prima Madama Reale e da Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours, la seconda Madama Reale.

Fino al 2 maggio, Fashion ci conduce in un viaggio insolito della moda. 36 fotografi, tra i quali Clifton Adams, William Albert Allard, Stephen Alvarez, la bravissima Jodi Cobb, la prima donna ad essere nominata fotografa dell’Anno alla Casa Bianca e la prima ad entrare nelle vite nascoste di donne dell’Arabia Saudita, Chris Johns, Lehnert & Landrock, Charles O’Rear, Randy Olson, Steve Raymer, Roland W. Reed, il fotografo dei nativi americani, Eliza Scidmore, la delicata testimone del Sol Levante in occidente: fanciulle avvolte in splendidi kimono e scene di vita quotidiana immortalate sempre con grazia e freschezza.

Bianchi e neri, seppiati e colori: le 62 immagini di Fashion si soffermano sul significato storico, antropologico e culturale dell’abbigliamento e dell’ornamento. Scatti senza tempo, realizzati in realtà sociali, religiose e culturali totalmente differenti: dalle passerelle della moda alle praterie dell’Oregon, dalle foreste pluviali della Nuova Guinea, ai paesaggi arsi dell’Africa, dall’Indonesia dove  una ragazza samama esegue le cerimonie di benvenuto nel palazzo di un sultano nell’isola di Sumbawa,  alla ovattata figura della ragazza indiana  Ojibway del Minnesota, alla donna hmong che indossa il copricapo tradizionale del Laos, dalla ragazza algerina che indossa un copricapo di monete come dote alla moglie di un tintore di seta indiano che si fa ritrarre con il volto velato secondo le regole della purdah, la pratica che vieta agli uomini di vedere le donne.

Eliza Scidmore (c), Indonesia 1907. Lehnert & Landrock (c), Algeria 1922. W. Garrett (c), Laos 1974.

“I vestiti provocano, irritano, seducono, sussurrano, strillano, bisbigliano formule magiche”, scrive Cathy Newman, storica firma della National Geographic. “In qualsiasi parte del mondo siamo, il punto in comune è l’attenzione universale per il corpo, per l’ornamento. Il desiderio di affermare il nostro io attraverso ciò che indossiamo e, in principio, l’istinto di decorare il nostro corpo, dichiarando chi siamo”.

Gli abiti possono, quindi,  permetterci di dimenticare le brutture del passato e di guardare, nonostante tutto, con speranza al futuro, come la popolazione fiera dei Nuba nel cuore del Sudan, a lungo protetta dal naturale isolamento, ma, oggi, perseguitata dal governo integralista islamico di Khartum che lo assoggetta a una politica di assimilazione forzata.  Gli interessi economici si intrecciano con motivazioni religiose nel genocidio di questo popolo che non dimentica le proprie tradizioni decorando il corpo con scarificazioni, cicatrici decorative geometriche sulla cute, simbolo di coraggio, forza e bellezza.

Jodi Cobb. Papua Nuova Guinea, 2000. Giovani “uomini di fango”all'annuale festival tribale di Goroka. Horst Luz, donna Nuba.

Jodi Cobb (c), Papua Nuova Guinea, 2000. Giovani “uomini di fango”all’annuale festival tribale di Goroka. Horst Luz (c), 1962 Nuba Mountains.

Eliza Scidmore (c), Sri Lanka 1907. Sofisticate cavigliere e anelli da dita ornano il piede di una danzatrice tamil. Jodi Cobb (c), Russia

Fashion ci ricorda che da sempre ciò che indossiamo esprime al tempo stesso l’effimero e l’eterno, definendo un’appartenenza sociale, come nel caso delle donne Himba, popolazione della Namibia, discendente diretta degli Herero, la cui condizione sociale si distingue in base all’acconciatura dei capelli: le nubili portano una treccia sulla fronte, mentre quelle sposate lasciano cadere i capelli sulle spalle, raccolti in lunghe treccine e al centro della testa un diadema in pelle di capra, l’erembe. Dopo la nascita del primo figlio le donne possono adornare il petto con l’ohumba, la grande conchiglia sacra forma di cono, proveniente dalle coste dell’Angola,  simbolo di fecondità.

«Lo spirito della mostra – spiega Marco Cattaneo, curatore della mostra e direttore di National Geographic Italia, – è un viaggio attraverso il mondo nello spazio e nel tempo attraverso il modo di vestirsi. Attraverso queste fotografie possiamo apprezzare come cambiano gli scenari spazio-temporali ma le affinità rimangono di fondo.  Abbiamo selezionato 4.000 immagini su 9 milioni e mezzo di foto d’archivio e ne abbiamo poi scelte 62. Non è stato facile. Abbiamo privilegiato le immagini di impatto immediato, con accostamenti visivi e concettuali».

Indossare un vestito, decorarsi,  non è solo protezione, ornamento, ma un atto profondamente sociale, installato nel cuore stesso della dialettica delle società. Questo il messaggio di Fashion. Moda e stile negli scatti del National Geographic: il multiforme e poliglotta universo vestimentario, che si forma e si riforma senza sosta, divenendo continuo oggetto di desiderio.

William Albert Allard (c), il velo nero a pois dell’attrice siciliana Benedetta Buccellato. Jodi Cobb (c), Corea del Sud 2009. Una modella vestita di seta danza alla sfilata di Hanbok. Chris Johns (c) Giappone 1983.

Per maggiori informazioni:

Palazzo Madama, Corte Medievale

Piazza Castello, Torino

Tel. +39.011.443350

Articolo scritto e redatto da DANIELA RIGONI | Tutti i diritti sono riservati

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