Le beviamo oramai quotidianamente, a volte anche durante i pasti (abitudine sbagliata): le bibite gassate sono presenti ovunque e in ogni gusto, più o meno dolcificate a seconda del consumatore a cui si rivolgono. Ultimamente stanno arrivando anche le varianti bio, dove c’è una maggior cura degli ingredienti utilizzati, incominciando dalla scelta della sorgente d’acqua. Vediamo di capire come questi prodotti presenti in ogni luogo, e in contenitori di materiali diversi che ne caratterizzano il sapore in positivo (vetro in primis) o in negativo, abbiano conquistato il mercato diventando dei veri colossi internazionali.

La produzione a livello industriale delle prime bibite gassate si deve all’inglese Joseph Priestly. Nel 1767, Joseph mise a punto un sistema per aggiungere anidride carbonica all’acqua. All’inizio la bevanda era usata come medicinale, ma agli inizi del XIV secolo si cominciò ad aromatizzarla con zenzero, cola, limone, arancia, chinotto ecc.

Il ginger ale (bibita a base di zenzero) apparve nel 1851, seguirono poi la Dr.Pepper (che nonostante quello che si pensa è la prima a fabbricare bibite negli Usa) nel 1885, poi la nota Coca-Cola, la rivale Pepsi, la 7-Up; l’Italia, come spesso accade, arriva un po’ più tardi con il chinotto San Pellegrino nel 1932.

Incominciamo quindi dalla più nota di tutte, ovvero la Coca-Cola.  La storia narra che fu la calda serata dell’8 maggio 1886 a spingere il farmacista John Stith Pemberton nella sua casa di Atlanta a creare la ricetta della Coca-Cola: uno sciroppo a base di estratti vegetali e noci di cola (semi di un albero africano) che doveva servire inizialmente a curare il mal di testa. Qualche tempo dopo Pemberton però si accorse che allungandola con la soda, la sua medicina diventava una bevanda dissetante. Grazie a questa semplice intuizione nacque così la bevanda che diventerà la più famosa del mondo. Ancora segreta la sua formula, custodita con cura in una cassetta di sicurezza di una banca di Atlanta. E’ stata copiata, imitata in ogni modo, ma mai eguagliata, ne esistono di ogni sorta: light, zero, life, senza caffeina… ognuna con un colore che la contraddistingue. Il suo marketing fa scuola, basti pensare al design delle proprie bottigliette o alle varie iniziative lanciate in occasioni di eventi sportivi di certa rilevanza. Il suo brand è talmente forte che la sua città d’origine, Atlanta, riuscì ad ospitare un Olimpiade estiva nel 1996, e non un anno a caso, ma quello del centenario. Ancora oggi è la bibita con le bollicine per eccellenza.

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Molto nota nel mondo anglosassone è la Dr. Pepper, una miscela unica di 23 sapori: la formula esatta, anche in questo caso, è un segreto del proprietario. L’aroma ricorda quello delle ciliegie, in alcune nazioni Dr.Pepper contiene zucchero invece che sciroppo di mais ad alto fruttosio. Diffusa principalmente in Stati Uniti, Inghilterra e Sud Africa, la bibita è talmente popolare che persino la blasonata Coca-Cola ha prodotto una variante della sua bibita al gusto di ciliegia.

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Passiamo ora alla storica rivale della Coca per eccellenza, ovvero la Pepsi-Cola. Inventata anch’essa da un farmacista del North Carolina di nome Caleb Davis Bradham nel 1893, l’idea era proprio quella di fare concorrenza alla Coca-Cola, nata pochi anni prima. Il nome Pepsi arriverà solo dopo qualche anno, quando tra gli ingredienti compare la pepsina, che secondo Bradham serviva a scongiurare una cattiva digestione. Tra i suoi record, quello di essere stata la prima bibita a sperimentare il bottiglione di plastica da 2 litri e lo sbarco nel 1972 nei negozi russi, primo tra i drink occidentali a essere distribuito nel mondo sovietico, dopo che Nixon nel 1959 (all’epoca non ancora presidente), l’aveva fatta assaggiare a Krushev: secondo indiscrezioni sembra che al leader russo fosse piaciuta molto. Inoltre la Pepsi è diventata anche una Fiat 500, ne abbiamo parlato anche qui su TheOldNow.

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Parliamo ora di una delle bevande più amate, nonché la più diffusa di casa Coca-Cola in Europa: la Fanta. La sua storia è legata a quella della Seconda Guerra mondiale. Alla fine degli anni ’30 la Coca-Cola godeva di grande successo in Germania. Col progredire della guerra gli impianti tedeschi della Coca-Cola cominciarono ad avere difficoltà a ottenere tutti gli ingredienti necessari per la produzione della bibita. Un dirigente, tale Max Keith, ebbe l’idea di continuare a produrre una bibita gassata con quello che c’era a disposizione cioè siero di latte e mele. Keith chiese ai venditori di esercitare la loro fantasia per trovare un nome alla nuova bibita e dal brainstorming si decise per il semplice Fanta. La nuova bibita era servita. Quando, una volta terminata, la casa madre lo scoprì, ne sospese la produzione. La vicenda proseguì in Italia quando una bibita di nome Fanta rivide la luce nel 1955 a Napoli, nella versione con arance, prodotta dalla SNIBEG. La Coca Cola trovò l’idea interessante e cinque anni dopo la comprò: oggi ne esistono diverse versioni per ogni frutto, alcune prodotte esclusivamente a seconda delle nazioni; l’Italia ad esempio vanta le varianti arancia rossa e chinotto.

Di tutt’altro calibro l’Aranciata di San Pellegrino che, a differenza di altre famose bibite nate per caso, ha una tradizione più rispettabile. Figlia dell’acqua minerale delle terme di San Pellegrino, in provincia di Bergamo, l’idea dell’aranciata venne proprio al padrone della San Pellegrino, il Cavalier Ezio Granelli, durante la Fiera Campionaria di Milano del ‘32, quando decise di offrire agli ospiti la sua acqua minerale allungata con succo di arance italiane.

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Sembra invece un ricordo in perfetta operazione nostalgia la 7Up, che negli anni ’80 era molto diffusa; non c’era infatti un compleanno o festa scolastica che non ne avesse una bottiglia, poi in Italia è quasi scomparsa, se ne fece pure un gioco per console dal titolo Cool Spot. In realtà la 7Up non è stata figlia solo del decennio reaganiano: originariamente chiamata Bib-label lithiated lemon-lime arrivò sul mercato poco prima del crollo della borsa del 1929. Il proprietario della bevanda, Charles L. Grigg, cambiò poi col nome attuale, secondo una credenza in onore ai 7 ingredienti del drink, anche se gira una leggenda secondo cui il nome della bibita è da attribuire al litio, un sale adoperato come farmaco che stabilizza l’umore nel disturbo bipolare, che ha una massa atomica vicina a 7, e che faceva parte degli ingredienti fino a quando nel 1948 la FDA americana ne vietò l’uso nei soft drink.

Terminiamo questa carrellata a base di bollicine con una breve parentesi sugli energy-drink come la Redbull di Dietrich Mateschitz. Il buon Dietrich era solito viaggiare in tutto il mondo per motivi lavorativi quando in uno dei suoi viaggi in Thailandia gli proposero una bevanda tonica sciropposa per alleviare il jet lag. Il risultato fu talmente positivo che Mateschitz lasciò il suo lavoro e si mise in società con Chaleo Yoovidhya, che possedeva un’azienda che produceva bibite a base di Taurina in Thailandia. Il nome Red Bull lo inventò proprio Dietrich mentre pare che il famoso slogan sia stato suggerito da un amico.

Naturalmente le storie legate ai drink sono molte di più di quelle raccontate in questo articolo, qui ci siamo limitati alle più note: di certo nel prossimo periodo la produzione dei soft-drink verterà sempre più a un corretto utilizzo delle risorse, in quanto le tematiche ambientali influenzano sempre più parte della popolazione mondiale quando si tratta di acquistare un prodotto. A sostegno di questa tesi, basta citare l’ascesa del bio anche in questa fetta di mercato fatto di zucchero, bollicine e frutta.

Articolo scritto e redatto da Alessandro Sacco | Tutti i diritti sono riservati 

 

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1 risposta

  1. Carlo

    Troppe informazioni errate o imprecise in questo articolo