Come si può giudicare la bontà di un vino? In centesimi? Può bastare assegnare un numero, nient’altro che un insieme ordinato di linee rette e curve significanti un certo quantitativo cardinale, per racchiudere tutto ciò che in realtà è contenuto in un vino? Tutta la storia, la fatica, il sudore e i sacrifici delle persone che hanno contribuito a creare ogni singola bottiglia può forse essere incasellato in base al numero di bicchieri, stelle, grappoli, soli, bottiglie assegnati? È forse giusto ridurre il tutto a una fredda classifica che, diciamolo, alla fine non fa che alimentare il celolunghismo e la mania per le statiche?

 

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Non si potrebbe invece valutare il vino dalla bellezza (intesa non in senso estetico quanto in senso umano) delle persone che l’hanno voluto e che lo hanno creato assecondando la naturale inclinazione del loro territorio? Se così fosse il vino di Ar.Pe.Pe. non potrebbe che stare in cima a tutte le classifiche (a pari merito che una schiera di altri vini prodotti da persone di incredibile ricchezza umana) perché discorrendo con i tre fratelli Pelizzatti Perego non si può non avvertirne la grazia nell’approccio, l’umiltà, l’amore per la propria Valtellina e quella sensazione di fondo che rende il tutto un po’ speciale: la consapevolezza della proprio scelta. Che in quanto tale (scelta) non è stata un’imposizione, bensì una cosciente presa di posizione che, in alcuni casi, è seguita ad un periodo di totale rifiuto. È lo sposare un’idea, il sentirsi parte di un progetto condiviso

 

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Senza nome

 

La Valtellina è dura. Le pietre di Valtellina sono dure e le persone cui la Valtellina ha dato i natali non possono che essere altrettanto dure. O forse no. I versanti vitati della Valtellina sono scoscesi, impervi, declivi, tanto che spesso la terra deve essere trasportata laddove altrimenti vi sarebbe solo nuda roccia. La creazione dei muretti a secco e quindi dei terrazzamenti del versante retico della Valtellina rappresenta il risultato di una storia di sacrifici e un incredibile patrimonio naturalistico e di sapienza umana che necessita di essere preservato nel tempo, perché anche chi ci seguirà possa rimanerne estasiato. Valtellina vuol dire Chiavennasca, ovvero Nebbiolo di montagna fresco e teso, esso è il vitigno largamente maggioritario di tutti i vini della DOCG (Valtellina superiore) così come della DOC (Rosso di Valtellina)

 

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Ed è in questa Valtellina che inizia la storia della famiglia Pelizzatti come produttori di vino, storia che si perde nella nebbia dei secoli e il cui inizio viene fatto convenzionalmnente coincidere con l’anno 1860. Una storia lunga e ricca di stravolgimenti e colpi di scena, che non ho l’ardire di raccontare non potendovi trasmettere le emozioni provate ascoltandola direttamente da chi questa storia la sta perpetuando, lascerò allora che siano i vini a donarmi le parole. L’assaggio dei vini di ArPePe parte dalla cantina, dove Emanuele per l’annata 2013 sta sperimentando lunghe macerazioni, tanto che i tini tronco conici non sono stati ancora svinati e conservano al loro interno le vinacce che, col gentile tocco del tempo, stanno rilasciando al vino tutte le loro magnifiche proprietà organolettiche. Profumi intensi di lamponi e di buccia d’arancia rossa invadono le narici, sprigionandosi al roteare dei calici irrorati dai gentili vini di Valtellina. Tannini in fasce ma nient’affatto aggressivi allietano le papille facendo immaginare un’evoluzione in grazia molto più che in potenza. Il sale che le radici indurite dal tempo hanno drenato (ma perchè non esiste il participio passato di suggere?) dalla terra si deposita sulla lingua e lascia la bocca non paga, ancora desiderosa di un altro sorso

 

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L’assaggio dalle botti disegna i contorni di un’immagine ancora sbiadita, che necessita di tempo per mettersi a fuoco. Si passa quindi ai vini pronti in bottiglia, iniziando col Rosso di Valtellina DOC 2011, frutto di un’annata calda che ha necessitato quindi di macerazioni brevi intorno ai 4/6 giorni seguite da 9 mesi in tino di legno e poi qualche mese di riposo in bottiglia. Naso estremamente succoso che ricorda le note caratteristiche sentite nella prova da botte, con il lampone in evidenza. In bocca morbidezza e acidità si sposano molto bene, creando un equilibrio diretto e piacevole col sorso che si chiude su note di ciliegia. Grande beva per un vino che è l’emblema della felicità spensierata

 

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Lo Stella Retica 2010, Sassella Riserva DOCG è invece figlio di un’annata fresca con raccolta tardiva che ha avuto luogo il 29 di ottobre. La macerazione si è protratta per 10 giorni ed è stata seguita da due anni di affinamento in legno e 9 mesi in bottiglia. Al naso risulta più fresco, le note di frutta dolce sono in secondo piano mentre appaiono invece sentori spiccatamente floreali freschi e si ritrovano gli agrumi che nel 2011 erano invece coperti. Il tannino inizia a farsi sentire, sempre morbido e delicato, ma ben presente in bocca dove compaiono anche tonalità balsamiche di menta che lasciano immaginare una primavera fiorita

 

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Il Rocce Rosse 2002, Sassella Riserva DOCG è un campione assoluto. È sognante ed evocativo, etereo e materico insieme, è un Nebbiolo di montagna dal carattere infinitamente nobile, che appaga l’esteta così come l’edonista e colui che fa della tradizione il proprio credo. Qui la macerazione si allunga, arrivando a durare 35 giorni che il mosto trascorre in cemento prima di essere trasferito nelle grandi botti di legno che culleranno il vino per gli anni a seguire. Il naso è un’esplosione di confettura di ribes e fragole mature e caramello e leggere note fumé e liquerizia. La bocca è salata più che sapida, è succosa ma di corpo, struttura e costrutto. È un sorso persistente e fragrante, ricco e avvolgente, è una carezza inaspettata in questa terre rigide, ma anche feconde

 

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Infine l’Ultimi Raggi 2006, ottenuto da un’annata difficile e strana che ha portato vendemmiare il 16 novembre. Non proprio un passito, in quanto si è raccolto poco dopo che le foglie sono cadute dalla pianta, ma una bella surmaturazione che arricchisce il vino in forma e grassezza, donandogli curve che i fratelli, mascolini per quanto raffinati, non potevano sognare di possedere. Naso di burro di cacao, glassa, zuccata e borotalco. Dopo un po’ esce prepotente la ciliegia, prima sotto spirito e poi più fresca. Poi tornano ancora lo zucchero filato e il confetto per un vino vezzoso e cangiante, che ama riflettersi nelle persone che lo assaporano alla ricerca di cogliere un’essenza che farsi cogliere non desìa, ma preferisce mutare natura e farsi desiderare senza mai palesarsi

 

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Belle persone fanno bei vini. Punto

 

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Articolo scritto e redatto da Federico Malgarini  | Tutti i diritti sono riservati

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